Salvatore Satta
Nato a Nuoro il 2 agosto 1902, ultimogenito di nove fratelli, come precisa nella lettera a Bernardo Albanese del 25 giugno 1969: «Ella deve sapere che la mia vita familiare è cominciata al principio del secolo scorso, essendo io l’ultimo di 9 figli», Giovanni Salvatore Satta era figlio del notaio Giovanni Paolo Salvatore e di Valentina Maria Antonia Galfrè, di origine piemontese. Pronipote del poeta Sebastiano Satta, studiò al liceo “Azuni” di Sassari: al giovane Satta la città suscitò un’impressione potente, «quale nessuna capitale del mondo, neppure New York», disse successivamente. Terminati gli studi liceali, soggiornò per un anno a Cagliari, quindi si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza di Pavia, «forse per la crisi che stava vivendo l’Ateneo Sardo alle prese con la riforma Gentile» secondo Caterina Montagnani. Vi rimase poco sostenendo due esami; nel ’22 si trasferì in quella di Pisa e diede altri sei esami, quindi a Sassari dove si laureò con il massimo dei voti e la lode, il 1 luglio 1924, con una tesi sul Sistema revocatorio fallimentare.
A Sassari ebbe inizio la frequentazione con il professor Lorenzo Mossa, uno dei suoi maestri che, nella Prefazione al Commentario al Codice di procedura civile, III, Processo di esecuzione, presenterà come il «mediterraneo Mossa» che «aveva qualcosa di solare, che lo rendeva poeta, e in versi avrebbe cantato la Cambiale, se appena avesse potuto…». L’altra sua amicizia, foriera di importanti sviluppi, fu con Giacomo Delitala, «impermeabile all’assurdo», e affettuosamente definito «dormiglione» per il fatto che, alle 4 del mattino, pretendeva fosse sveglio «per conquistare tutto lo scibile giuridico» (Lorenzo Mossa, 1957).
Risale a questo periodo l’infelice esordio nel Tribunale di Nuoro sotto l’affettuosa tutela del penalista Pietro Mastino e del fratello Filippo, civilista, cui dedicò nel 1932 L’esecuzione forzata, perché «si può vivere il diritto nell’oscuro fondo di una provincia, anche se per avventura non vi giunga l’eco degli orientamenti pubblicistici del processo». Nel ’25 si trasferì a Milano, con il concorso fondamentale dell’amico Giacomo Delitala, che fu l’indispensabile tramite con Marco Tullio Zanzucchi nel cui studio fece tirocinio di avvocatura, ma nel ’26 la tisi lo costrinse a una permanenza di due anni nel sanatorio di Merano, dalla quale scaturì il romanzo La veranda.
Tornato alla vita professionale, dopo il sogno di intraprendere la carriera di scrittore, nel 1928 subì la perdita del padre e della madre e iniziò a pubblicare saggi giuridici conseguendo, il 21 gennaio del 1933, la libera docenza in Diritto Processuale Civile sotto la guida del professor Zanzucchi, mentre discuteva le sue idee con il grande giurista Giuseppe Chiovenda. L’insegnamento universitario come incaricato di Diritto Processuale Civile nell’Università di Camerino era tuttavia iniziato dal 1 dicembre 1931 e si concluse il 31 ottobre 1933. A novembre di quell’anno partecipò al concorso per Professore Straordinario alla cattedra di Diritto Processuale Civile e Ordinamento Giudiziario nella Regia Università di Messina classificandosi il primo della terna. Nel triennio 1933-36 fu Professore Straordinario di Procedura Civile presso l’Ateneo di Macerata. Nel 1936 divenne ordinario all’Università di Padova succedendo sulla cattedra di Diritto Processuale Civile a Francesco Carnelutti. Il 7 dicembre 1936 tenne la prolusione Gli orientamenti pubblicistici della scienza del processo, che gli creò tanti problemi. Da allora in poi le sue pubblicazioni in campo giuridico divennero numerose e culmineranno con l’imponente Commentario al Codice di procedura civile. Sempre a Padova, a novembre del 1938, conobbe la slavista Laura Boschian, che sposò il 3 maggio 1939, quando già insegnava nell’Ateneo di Genova.
Restò a Genova, con la parentesi del “distacco” triestino, fino allo spostamento a Roma. A Genova i due sposi si trasferirono nel ’39; il 2 agosto del 1940 nacque il primogenito Filippo. La guerra obbligò i Satta a migrare prima in Emilia a Fontanellato Parma, dove il 4 giugno 1943 venne alla luce Gino, e poi a Pieris d’Isonzo nella casa di campagna di Laura senza che gli eventi bellici rallentassero la rilevante produttività scientifica di Satta. Nel Friuli, tra il giugno del ’44 e l’aprile del ’45, scrisse anche il De Profundis, originato dallo strazio della guerra, che pubblicò nel 1948.
Nel 1945-46 Satta fu Prorettore dell’Università di Trieste, l’anno successivo riottenne la sua cattedra di Genova dove divenne anche Preside di Facoltà. Nel 1946 si recò a Parigi per perorare, presso la conferenza dei quattro grandi, la causa degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria. Nel ’48 Filippo si ammalò di meningite tubercolare. Superato il momento durissimo, la famiglia iniziò a viaggiare all’estero: in Olanda e Danimarca, in Islanda, Israele e Spagna. Nel 1956 Satta divenne membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e, il 4 marzo 1958, venne chiamato ad insegnare Diritto Fallimentare all’Università di Roma, nella quale rimase, dopo essere passato sulla cattedra di Diritto Processuale Civile, dal 1 novembre 1961 fino al collocamento fuori ruolo, avvenuto il 1 novembre 1972, dando vita a una serie di opere giuridiche che rimangono capisaldi della bibliografia scientifica. Nel ’65 fu Preside della Facoltà, ma una grave forma di peritonite lo costrinse successivamente alle dimissioni.
Negli anni ’60 continuarono i viaggi in Russia, Africa, Stati Uniti, giunse a Los Angeles attraverso il canale di Panama, Inghilterra, Grecia, e si infittirono le frequentazioni con gli ambienti intellettuali, accademici, diplomatici e con una ristretta cerchia di amici tra cui Giuliano Vassalli, Sergio Cotta, Arturo Carlo Jemolo. Il ’68 rappresentò per lui, come per molti altri colleghi, una fase di acuto malessere tanto da fargli pensare di dare le dimissioni. A consolarlo fu l’inizio di una calda amicizia epistolare con il collega Bernardo Albanese. Dall’ottobre del ’70 cominciò la collaborazione giornalistica con il Gazzettino di Venezia. Il 20 maggio 1972 tenne la sua ultima lezione universitaria. Dal 1973 fu socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. Già dal luglio 1970, a Fregene, aveva iniziato Il giorno del giudizio. La sua scomparsa avvenne il 19 aprile 1975. Nel 1979 la riedizione del romanzo presso Adelphi fece esplodere il “caso Satta”. Vincitore del premio Comisso, tradotto in diverse lingue, il libro originò il recupero di inediti, consacrando l’autore tra i più importanti narratori del Novecento. Nel 1981 venne ritrovato il manoscritto de La veranda, pubblicato da Adelphi. Ora lo scrittore riposa accanto a Laura Boschian nel cimitero di Maccarese.